Organizzata via sms e con il passaparola, c'era gente in piedi al Piccolo Eliseo.
Giorgio Albertazzi, Paolo Martini di dodicesimo round, Michele Santoro, Vauro, Giuseppe Giulietti, Roberto Natale e il segretario dell'Fnsi Paolo Serventi Longhi, Silvia Bonucci e poi, per telefono, Massimo Fini, Dario Fo e Paolo Rossi. Insieme a loro Maria Grazia Marzola e Report, l'ultima delle trasmissioni censurate.
Tutti insieme per dire che il servizio pubblico deve essere libero e plurale. Voci di destra, di centro e di sinistra. Unite per la libertà e contro la censura.- Oggi, alle 13,30, davanti alla Vigilanza, a Palazzo San Macuto. Per dire a gran voce che Report e il giornalismo d'inchiesta non si processa.
Ieri erano proprio in tanti in quella piccola sala. Più di 400 arrivati da Roma e fuori per dire no alla censura. Ora basta. Non si può più pensare che ogni piccola differenziazione dal pensiero unico della maggioranza debba essere messa a tacere. Basta! Gridato da artisti e giornalisti che hanno appartenenze e identità politiche diverse. Che cosa ha, infatti, a che vedere quell'estremista di sinistra che si chiama Vauro con l'ex ragazzo di Salò Giorgio Albertazzi? E invece sono lì, in prima fila.
L'uno accanto all'altro. E che tra i censurati ci fosse Massimo Fini (il suo Cyrano è stato messo fuori della Rai prima che potesse cominciare) e anche quel rosso di Michele Santoro "rifà" un certo effetto. Come sembra strano vedere una trasmissione di Raidue (dodicesimo Round) censurata né più e né meno di RaiOt della Guzzanti o dell'inchiesta sulla mafia che c'è ma nessuno la vede realizzata da Report e Maria Grazia Marzola.
Ed è proprio Paolo Martini a sferrare l'attacco più diretto. "Da quando ci sono questi ascari a Raidue, sono da censurare anche le domande scomode. E parte anche l'acquisizione delle scalette dei programmi ad opera dei giornalisti più fedeli".
Insomma. L'aria che si respira in Rai è ormai avvelenata. Ed il rischio di annientamento di quest'azienda, svuotandola di contenuti e portandola non alla quotazione in Borsa (vietata dalle autorità europee ed italiane e sconsigliata dall'advisor) ma alla svendita, diventa quotidianamente più realistico. Ed è per questo che tutti gli "operatori dell'informazione di buona volontà", al di là della loro collocazione ideale, protestano.
Escono da un "letargo" che era imposto da minacce, prevaricazioni e paura. Questo perchè non c'è peggior paura di quella di oggi. Quella di chi, per la prima volta da quando il servizio pubblico esiste, vede entrare in crisi la propria azienda e mettere in forse - se si continuerà su questa strada - il proprio posto di lavoro. Una Rai fuori dai meccanismi di ricerca della qualità, una Rai fuori dal digitale che conta e paga, una Rai che fa finta di far concorrenza ma si arrende all'unico vero competitor privato è un'azienda destinata a morire.
Morire di stenti. E questo ha fatto suonare la sveglia di tutti. Di chi era alla finestra e anche di chi aveva festeggiato l'arrivo del centro destra immaginando che avrebbe portato aria di rinnovamento.
Desideri irrevocabilmente compromessi da una gestione che può essere definita straordinaria solo per i danni che sta recando. E spetterà al nuovo corso di Viale Mazzini (i risultati delle due elezioni suppletive di ieri sono stati apprezzati dalla sala) rimettere insieme i pezzi del servizio pubblico scegliendo - e questa è stata la richiesta avanzata coralmente dalla sala - di abbandonare quelle vecchie logiche che anche il centrosinistra aveva adottato per la Rai e che dovranno essere invece definitivamente messe da parte.
Al di là di come ognuno la pensi politicamente.
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